Sono anni che grandi firme del giornalismo italiano parlano di Autonomia. Descrivono le regioni autonome come un anacronistico privilegio; dicono che le regioni autonome ricevono più denaro in quanto tali e ne propongono l’abolizione.
C’è chi vuole l’Autonomia
Lombardia e Veneto hanno votato per dire la loro sul referendum “ per l’autonomia”.
I veneti hanno detto si con percentuali bulgare e una partecipazione di 60 cittadini su 100; in Lombardia una fallimento totale sia per i partecipanti che per il cattivo funzionamento del sistema elettronic di voto.Vedremo cosa succederà nei mesi a venire: la strada sarà lunga e tortuosa.
Ma perche Maroni e Zaia vogliono essere autonomi?
Per due ragioni:
- Gestione dei servizi diretta da parte della Regione
- Per tenere in regione più denaro
La Repubblica Italiana, come quasi tutti i grandi Stati europei, riconosce ad alcuni suo territori l’autonomia. “Riconosce”, non “concede”: è una differenza che i nostri illustri intellettuali non conoscono, anche se io -illuso che si tratti di persone dalla fine intelligenza- credo che facciano finta di non conoscere.
I costituenti riconobbero l’esistenza di minoranze etniche storiche nel territorio della Repubblica.
Si tratta di minoranze etniche con:
1) Una storia propria, scarsamente legata a quella nazionale italiana.
2) Minoranze linguistiche, con una o più lingue proprie.
3) Cultura e tradizioni proprie.
4) Posizione geografica speciale.
Questi criteri caratterizzano tutte le regioni a Statuto Autonomo eccetto la Sicilia che ha sempre avuto una autonomia molto ampia, sia durante il Regno delle Due Sicilie, che durante il Regno D’Italia.
Gli straordinari intellettuali italiani dicono da anni che le regioni autonome non hanno senso perche tanto l’Europa ora non ha frontiere, i collegamenti aerei e navali sono molto più efficienti e quindi non ha più senso “concedere” l’autonomia a questi territori.
A volte quando penso agli editorialisti di punta dei quaotidiani italiani penso che occupano lo stasso stazione nel giornale di Pasolini. Mi chiedo come facciano a non provare tremenda vergogna?
è ovvio che l’autonomia non venne riconosciuta solo sulla base dei confini, ne seguendo il solo criterio dell’insularità, altrimenti regioni di confine come Veneto, Lombardia, Liguria e Piemonte o isole come l’Arcipelago Toscano, le Eolie, le Tremiti o le Pelagie avrebbero Statuto autonomo. Le Regioni Autonome rispondo a tutti i criteri elencati e la questione geografica è forse una delle meno rilevanti. Lo Stato riconosce l’autonomia a dei territori in quanto ammette che esistano delle minoranze storiche, linguistiche e culturali che non è in grado di tutelare.
Quando un Stato legifera lo fa in funzione della maggioranza dei suoi abitanti. Quando amministra la istruzione e beni culturali lo fa dedicando la propria attenzione alla lingua alla cultura e alla storia maggioritarie. Con l’autonomia gli stati europei ammettono di non essere in grado di tutelare degli interessi minoritari e dunque legittimano l’esistenza di autonomie che hanno esattamente questa funzione. Le autonomie non sono dei privilegi concessi a questa o a quella comunità ma una necessaria difesa di minoranze che verrebbero altrimenti schiacciate dalla cultura prevalente.
I finanziamenti delle regioni autonome vengono descritti dagli articoli degli intellettuali di cui sopra, come delle sacche di spreco e privilegio. Questi dati si basano sempre su un confronto fra regioni autonome e regioni ordinarie. Si dice che le prime spendano molti più soldi per abitante e sprechino il denaro pubblico in corruzione o cose superficiali. Non di rado si critica la spesa delle autonomie in tutela delle proprie lingue storiche o nella spesa per studi storici commissionati e legati al territorio.
Questi paragoni sono quasi sempre una cialtronata.
1)Le regioni autonome hanno una gestione della spesa e in alcuni casi delle istituzioni completamente diverse da quelle delle altre regioni.
2) Ogni regione autonoma ha una sua organizzazione e fa dei patti puntuali con lo Stato centrale: questi patti cambiano da una regione all’altra.
3) Alcune regioni autonome hanno la riscossione diretta delle tasse, altre no; alcune gestiscono i trasporti pubblici in modo quasi indipendente, altre dipendono dallo Stato.
4) Le Regioni Autonome pagano e gestiscono direttamente dei servizi che in altre regioni gestisce e paga direttamente lo Stato.
Queste variabili non permettono di mettere le regioni speciali tutte insieme come si fa per quelle ordinarie, perché ognuna è diversa.
Il fatto che si dica che le Regioni autonome son più ricche di quelle ordinarie dipende da caso a caso. Ma certamente non si può fare finta di non sapere che è ovvio che una regione speciale possa spendere più denaro di una a statuto normale, perché deve gestire e pagare dei servizi di cui nelle regioni ordinarie gestisce e paga lo Stato.
Questo non significa che le regioni autonome siano delle sante e gestiscano il denaro fantasticamente e neanche che in alcuni casi ci siano dei privilegi.
Ma se metti nella stessa busta arance e cipolle il fruttivendolo non te le fa pagare allo stesso prezzo.
Ad esempio…la Sardegna
In Sardegna usiamo delle scuole gli stessi libri di storia che si usano in Lazio o in Piemonte. Su quei tomi con centinaia di pagine la storia della Sardegna compare tre volte. Una paginetta in cui si accenna di una misteriosa civiltà chiamata “nuragica” che costruiva torri con grandi pietre, punto. La seconda è normalmente una scheda di quelle di approfondimento dove si accenna alla Carta de Logu (Una sorta di antica costituzione in uso in Sardegna del Medioevo, di grande modernità e importanza) e ricompare miracolosamente alla fine del seicento dopo la guerra di successione spagnola, quando i Savoia si mettono in testa la corona del Regno di Sardegna. Fine. La cosa più divertente, però, sono le mappe che per fantasia fanno concorrenza ai migliori racconti fantasy. Il periodo medioevale è quello più creativo e porta la Sardegna ad essere annessa una volta a Pisa, un.altra a Genova, a volte allagarono, qualche altra sotto il papato: una specie di giolly!
I sardi crescono senza sapere nulla della loro storia e spesso con un racconto errato. Un frase che tutti vi diranno qui è che “in Sardegna ci sono passati tutti”. Una cosa non vera: non più che in altre parti del mediterraneo, almeno i sardi non sanno chi sono.
Questo perché la storia che si trova sui libri di scuola italiani si concentra sul racconto della storia nazionale italiana, con uno sguardo necessario a quanto accadeva in contemporanea nel resto del mondo. Un racconto in cui la Sardegna compare solo quando diventa dominata dai Savoia o quando le sue vicende viaggiano insieme a quelle di Pisa. La prima grande civiltà del Mediterraneo occidentale, quella nuragica, che ha per prima scolpito statue in occidente (prima dei greci), merita una paragrafo. 3 secoli di Giudicati scompaiono nel nulla e quasi 4 secoli di storia in comune con aragonesi e spagnoli si riducono in un tempo vago definito com “lungo medioevo”, concluso amorevolmente dai Savoia al loro arrivo.
La Sardegna si può riconoscere nell’impero romano e nel periodo sabaudo. Si può parlare di una relazione culturale con Genova e Pisa: altalenante fino al 1260, perché dipendente dalle scelte politiche di alleanza del giudice di turno, che una volta guardava a Pisa, l’altra a Genova, altre agli aragonesi, altre ancora sii metteva sotto l’ala del papato; nella seconda metà del 200 Pisa conquista la maggior parte del territorio e lo governa per circa 70 anni, fino all’arrivo degli aragonesi. Per il resto, la storia sarda sta fuori da quella italiana: fuori dal medioevo dei comuni, fuori dal rinascimento, fuori dagli esperimenti letterari della scuola siciliana e di Dante; fuori dal risorgimento. In Sardegna le chiese si costruiscono come in Spagna, la struttura sociale e l’economia rispondono a quel criteri e la lingua ufficiale, dopo il sardo in epoca giudicale, è il catalano, prima e lo spagnolo poi.
Lautonomia serve a tutelare questa specialità culturale.
Nelle scuole sarde si dovrebbe insegnare quella parte di storia che sembra non esista. Lo Stato non sa, non può o non vuole occuparsene. L’autonomia serve a questo. Serve, ad esempio, a considerare l’epoca nuragica come un periodo storico fondamentale per la cultura sarda, anche se non lo e. per quella italiana. Avere libertà di spesa in ambito culturale dovrebbe servire per decidere di destinare delle risorse in modo prioritario alla salvaguardia i questi periodi storici e non solo a quelli che interessano il periodo romano o la breve parentesi pisana, come invece accade. Finanziamenti che al Ministero potrebbero apparire di poca importanza o non prioritari, sono importanti e prioritari per una minoranza etnica sarda, tirolese, francofona o slava.
Autonomia abusiva.
Chi vi scrive non è contro l’autonomia, anzi la difende. Ma l’autonomia ha un valore che supera questioni pratiche o di denaro, ha a che fare coi diritti umani e con il rispetto della dignità dei popoli.
Ciò che stanno facendo Lobardia e Veneto è ingiusto sia per forma che per contenuto.
1) La forma è sbagliata perché si stanno spendendo tanti soldi pubblici per chiedere ai cittadini una cosa che basterebbe presentare in modo chiaro nei programmi elettorali dei partiti a delle normali elezioni regionali. Vinte le elezioni si avrebbe già il mandato dei propri elettori in questo senso. La Costituzione consente alle regioni di contrattare con lo Stato maggiori spazi di autonomia, basta chiedere un tavolo al Governo sulla base del mandato avuto e poi, allora si, far votare l’accordo raggiunto con lo Stato in un referendum.
2) Una cosa è l’autonomia, un’altra cosa è volersi tenere i soldi in tasca. Non vedo alcun motivo per cui alla Lombardia si dovrebbe riconoscere l’autonomia: non èuna minoranza linguistica, anzi ha dato un contributo definitivo con Manzoni, padre dell.italiano moderno. Non è una minoranza storica: ha le sue peculiarità ma ha partecipato pienamente alla costruzione di na cultura italiana, è perfino il siblolo dello stile, della moda e del design italiano. Infatti la propaganda autonomista in Lombardia ne fa una questione di efficienza e di denaro (una cosa mooolto lombarda! 😉 ). Si posso concepire che la Lombardia contratti con lo stato più autonomia nella gestione di alcuni servizi perché ha dimostrato efficienza di gestione, non è possibile che se ne faccia una questione di denaro. Non si può ammettere che una regione ottenga l’autonomia sulla base della ricchezza che produce. Non si può comprare l’autonomia. Poi c’è un questioncina che i leghisti si guardano bene dal ricordare. La Lombardia è molto ricca, lo sappiamo; lo è perché i lombardi sono gente stacanovista che da molto valore al lavoro. Mi piacerebbe vedere un po’ di studi sulle ore di lavoro, sulla produttività a parità di lavoro, studi che non mettano cipolle e arance nello stesso sacchetto. Ma ammettiamoche si tratti di un popolo dedito al lavoro più degli altri e che la ricchezza dei lombardi derivi dalle qualità che hanno. Diciamo che la maggior parte di queste ricchezze deriva dallo stile di vita lombardo; ma non tutto. Il fatto che Milano ospiti la Borsa e che sia stata scelta e gestita come capitale finanziaria d’Italia conta e pure molto. Quasi tutte le aziende internazionali e la maggior parte di quelle italiane hanno scelto Milano per impiantare la loro sede sociale. Non l’hanno fatto per il bel clima ma perché Milano è la capitale finanziaria d’Italia. Quanto indotto arriva a Milano e alla Lombardia dalla presenza di queste imprese? Milioni di euro e tantissimi posti di lavoro si muovono a Milano solo perché è la capitale finanziaria d’Italia. Migliaia di uffici, elettricisti, costruttori, imprese di pulizie, idraulici, segretarie/i, avvocati e notai, ristoranti, bar, botiques e mercato immobiliare vivono grazie alla presenza di queste strutture. Bisognerà pure che i lombardi riconosca questo come un privilegio, o no?
Spostiamo la Borsa a Napoli.
Io farei una prova, direi alla Lobardia che le si da la più ampia autonomia possibile ma che la Borsa deve essere trasferita a Napoli, per aiutare l’economia partenopea a risollevarsi. Lo Stato investirà sulla città campana con una tassa dimezzata alle aziende che decidano di spostare la loro sede fiscale a Napoli. Vista la nuova funzione della città meridionale sarà necessario fare dei seri investimenti nei trasporti pubblici, sia aerei che ferroviari: sarebbe una spesa di interesse strategico nazionale.
Secondo voi come reagirebbero?
La mia è una provocazione, è chiaro, ma serva a spiegare il mio punto di vista. Io non sono contrario all’autonomia, anzi, credo che abbia un grande valore. Ma non si può riconoscere l’autonomia in proporzione al PIL di un regione, specialmente quando lo si fa senza riconoscere tutti gli elementi che portano quella regione ad essere tanto ricca. Si dice poi, che la Lombardia versa allo stato molto denaro in proporzione a quanto ne riceve, ma si finge di non sapere che le tasse non le pagano le regioni ma le persone. Sono le persone ricche che pagano più tasse di quelle povere: in Lombardia ci sono molti ricchi e dunque il gettito fiscale che lo Stato ha dalla Lombardia è superiore a quello di alte zone d’Italia. Ma se accettassimo il criterio che i soldi che la ricchezza deve rimanere dove viene prodotta stiamo cancellando un principio di eguaglianza fondamentale e creiamo una società elitaria. Vedremo ceni quartieri ricchi pretendono che il comune utilizzi per loro maggiori risorse, trascurando quelli poveri. Vedremo che le scuole nei quartieri benestanti saranno meglio finanziate di quelle popolari. Costruiamo una società ottocentesca, senza i più elementari diritti, senza la più basilare redistribuzione della ricchezza. Per non parlare del fatto che aziende che hanno il grosso della loro produzione in altre regioni arricchiscono la Lombardia con le loro sedi di rappresentanza e le tasse che pagano per le loro sedi fiscali, invece che dove producono.
Vile denaro
Il problema non è di autonomia ma di fiscalità e si risolve con un patto serio per la crescita del sud che sia nell’interesse del meridione e nn funzionale a un politica clientelare o a qualche regalino da fare alle aziende del nord che fingono di investire al sud, come già accaduto molte volte. Un accordo di buon senso, un patto per l’interesse dell’Italia che sfugga da egoismi o ragionamenti di pancia.
Tutto il resto sono chiacchiere cialtrone. Le chiacchiere che governano il dibattito pubblico e i palazzi del potere di una Repubblica dove tutto si vende e si compra: la Repubblica delle Banane.